impatto sociale ed economico dell’osteoporosi

L’impatto sociale e sanitario delle fratture da fragilità è rimasto invariato negli ultimi 30 anni. I pazienti con fratture al femore presentano un rischio di mortalità superiore del 20% rispetto ai soggetti non fratturati. Il dato riguarda in percentuale maggiore gli uomini, ed è un dato rimasto invariato nel tempo, pur avendo introdotto nuove modalità di gestione del paziente osteoporotico.

Le conseguenze di una frattura al femore possono essere gravi e vanno a impattare in modo negativo sullo stato di salute e sulla qualità di vita del soggetto fratturato:

  • aumento della mortalità del 15% nei primi 6 mesi dopo la frattura;
  • perdita dell’autosufficienza nel 20-30% dei casi;
  • necessità di assistenza o ricovero prolungato (es. case di cura) nel 20% dei pazienti;
  • paura di cadute successive;
  • rischio di frattura femorale controlaterale raddoppiato.

L’impatto economico dell’osteoporosi in Italia è stato analizzato in uno studio della Comunità Europea pubblicato nel 2010. Ne è emerso che nel nostro Paese il costo delle fratture al femore si aggira intorno ai 7 miliardi di euro, così ripartiti: costi per il primo anno post-frattura intorno ai 4 miliardi di euro, costi per la riabilitazione intorno ai 2,5 miliardi di euro, e costi per la prevenzione 360 milioni di euro, una cifra irrisoria rispetto alle altre. E’ stato inoltre dimostrato che il costo sanitario delle fratture da fragilità è da considerarsi paragonabile a quello delle patologie cardiovascolari (quella dell’infarto miocardico, ad esempio) ma sia i medici sia gli organi deputati al controllo della salute pubblica continuano a sottovalutare l’impatto economico della patologia osteoporotica.

Negli ultimi vent’anni l’epidemiologia delle fratture è notevolmente cambiata. Neri primi anni Novanta si prevedeva che fra il 2000 e il 2050 ci sarebbe stato un aumento esponenziale dell’incidenza di fratture femorali all’interno della Comunità Europea. La previsione era valida per alcune zone del mondo (cfr. risultati di studi condotti in Serbia, Polonia, Giappone). Per ciò che concerne l’Italia, si stima che l’incidenza di fratture al femore nei prossimi 10 anni aumenterà in maniera esponenziale, sebbene in alcuni ranghi specifici di pazienti (in particolare la fascia tra i 65 e i 79 anni) questo incremento sembra essere leggermente rallentato negli ultimi anni, forse grazie a un maggiore interventismo da parte della classe medica. Lo scenario è abbastanza sconfortante per i pazienti di età superiore agli 80 anni: si prevede che fino al 2020 le fratture osteoporotiche aumenteranno in generale del 29% e quelle al femore del 30,8%. Inoltre, dati provenienti dalla Comunità Europea evidenziano come in Italia la percentuale di pazienti trattati sia molto inferiore a quella di altri Paesi europei (es. Spagna, Grecia e Portogallo) e quanto la sensibilità nei confronti dell’osteoporosi sia drasticamente calata negli ultimi anni, come dimostrato dalla riduzione nel numero di prescrizioni rispetto al 2007-2008. In termini di treatment gap (quanti pazienti non si considerano per il trattamento pur avendone necessità), l’Italia mostra un livello molto alto di disattenzione nei confronti dei pazienti a rischio frattura. Nel rapporto OsMed del 2013 si evidenzia che meno del 30% dei pazienti a rischio frattura elevato (pazienti con una frattura pregressa o in terapia cronica con glucocorticoidi) viene trattato in maniera adeguata.

In conclusione, l’osteoporosi e le fratture a essa correlate sono causa di un eccesso di mortalità e morbilità e di un crescente aumento della spesa sanitaria. In Italia, l’incidenza delle fratture è in costante aumento, ma i pazienti sono ancora poco trattati e, anzi, meno trattati degli anni precedenti. L’applicazione della nuova Nota 79 dovrebbe rappresentare uno strumento utile per migliorare l’approccio culturale e clinico nei confronti di questa patologia.

 

 

Casa Di Cura Villa Mafalda. Roma, Via Monte delle Gioie, 5

Reparto di Ortopedia e Traumatologia

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