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La terapia del dolore cronico: costi e benefici

La terapia del dolore cronico: costi e benefici

Almeno 13 milioni di italiani convivono con un dolore cronico, e la spesa sociale nella sola Italia supera i 36 miliardi l’anno: ogni singolo paziente comporta ogni anno una spesa di oltre 4 mila euro, di cui 1400 per costi diretti a carico del Servizio Sanitario Nazionale e 3mila per costi indiretti, a fronte di giornate lavorative perse e abbandoni definitivi del posto di lavoro. Questo è il risultato dello studio, presentato nei giorni scorsi a Roma durante il convegno HOPE – Health Over Pain Experience, un’occasione per fare il punto in merito all’impatto sociosanitario ed economico del dolore cronico nel nostro Paese. Eppure un rimedio ci sarebbe: un’appropriata prescrizione dei farmaci sarebbe già un passo efficace. Secondo i dati presentati in Italia i farmaci antidolorifici non vengono spesso utilizzati in modo appropriato.

 

Sul dolore cronico

Il prof. Massimo Allegri, del dipartimento di Scienze Chirurgiche all’Università di Parma, uno dei maggiori esperti italiani sull’argomento La terapia del dolore cronico, dichiara: «per dolore cronico si intende quello che perdura da almeno tre mesi. Il più comune è il mal di schiena, che interessa più del 60 per cento di quanti soffrono di dolore cronico, seguito da dolori articolari, reumatici e alla testa. Non dobbiamo però cadere nell’errore di considerare questo fenomeno un “affare” unicamente per anziani. A essere colpite sono anche le persone nel pieno delle forze e dell’attività lavorativa».

 

I farmaci oggi in uso

Attualmente le grandi categorie di farmaci utilizzate nella lotta al dolore sono due: i FANS e gli oppioidi. L’utilizzo dei primi, gli antinfiammatori comuni come nimesulide, ketoprofene e ibuprofene, è di gran lunga superiore rispetto al consumo di oppioidi. Si ritiene che per i FANS vengano spesi 240 milioni di euro ogni anno, contro i 179 milioni dedicati agli oppioidi (101 milioni per quelli più forti), che sarebbero spesso più appropriati e utili per la gestione del dolore cronico. Tra i principali Paesi europei, l’Italia si conferma all’ultimo posto per uso di oppioidi, e al primo per impiego di FANS. «Uno squilibrio – continua Allegri – frutto di un errato concetto teorico di dolore. Il principio in medicina è molto semplice: dove c’è dolore c’è infiammazione. Spegnendo quest’ultima, sono in grado di contenere il dolore. Ma questo non sempre è vero. È proprio per questo che i farmaci antinfiammatori vengono utilizzati impropriamente come analgesici».

Capire il dolore

Un buon modo per uscire da questa staticità è, secondo Allegri, abbastanza scontato: «le fibre nervose implicate nel portare lo stimolo doloroso non sono tutte uguali. Conoscere esattamente quali sono coinvolte è di fondamentale importanza per impostare una cura il più appropriata possibile. Nel caso del dolore cronico gli oppioidi possiedono un meccanismo d’azione che li rende più efficaci del semplice antinfiammatorio». Ma la classe medica italiana è preparata a riconoscere il dolore, comunicare col paziente e indirizzarlo verso terapie più appropriate? I dati non sono incoraggianti. Nelle Università, in 6 anni di ciclo di studi, le ore dedicate allo studio delle cure per il dolore sono – nel migliore dei casi – solo 12.

 

Casa di Cura Villa Mafalda Roma, Servizio di Terapia del Dolore

ACMA: Prof. Claudio Di Giovanni

AMPSAR: Prof. Pierfrancesco Dauri, Dott. Fabio Araimo Morselli

 

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