Covid-19 e Quarantena: come reagiamo in queste situazioni? Quale può essere un approccio comunicativo ottimale? Come possiamo descrivere l’andamento della paura? Un articolo a cura della Dott.ssa Maria Elena Raschi, Specialista in Psicologia presso “Villa Mafalda”.
Da settimane sui media si alternano notizie allarmistiche e rassicuranti, dati oggettivi e opinioni personali, facendo prevalere sensazioni di incertezza e di dubbio.
“In questi giorni di ‘coronavirus’ i media ci hanno mostrato reazioni contrastanti dinnanzi al pericolo: da un lato la paura, dall’altro la tendenza a minimizzare. In situazioni di incertezza, l’emozione che chiamiamo ‘paura’ tende ad aumentare in proporzione all’importanza delle conseguenze, immaginarie o reali, di ciò che l’ha scatenata – nel nostro caso, la rapidità della diffusione del contagio.
Il ‘contagio sociale’ dilaga velocemente, forse più velocemente di quello reale.
Non appena apprendiamo informazioni più precise, però, la situazione cambia: riduciamo l’incertezza tentando di stimare il rischio soggettivo di venire contagiati. Il rischio è quantificabile, anche solo soggettivamente; l’incertezza no. Conoscere il rischio, da un punto di vista psicologico, è rassicurante. Sapere, per esempio, che il virus non sia letale, se non in casi particolari, per molti di noi è già un sollievo. A questo punto, però, si verifica un effetto paradossale, ben noto in Psicologia sociale e nitidamente predetto dalla teoria dell’intensità delle emozioni di J.W. Brehm: all’aumentare dei tentativi di rassicurare i cittadini, aumenterà l’intensità della paura. In tale frangente, quindi, sarà meglio dare poche, precise informazioni rassicuranti, piuttosto che insistere nei tentativi di rassicurazione.
Oltre questo intervallo, un’elevata concentrazione di notizie rassicuranti – chiare, ripetute, univoche nei loro contenuti – non farà semplicemente diminuire, ma addirittura scomparire la paura, che verrà rapidamente sostituita da un nuovo mix di emozioni e comportamenti – sdrammatizzazione, battute divertenti ecc. In altre parole, l’andamento della paura non è lineare; segue una funzione matematica cubica.
L’incertezza di questo periodo ci porta alla percezione di un forte livello di stress.
Gestire lo stress e il benessere psicosociale durante questo periodo è importante quanto gestire la salute fisica. La necessità di stare lontani dalla famiglia e dalle persone a noi care, ci aiuta a riscoprire che la forzata separazione dagli altri – che possono costituire un pericolo per noi, come d’altronde noi per loro – svela come il nostro Io sia sempre legato a un Tu e a un Noi, in una relazione di appartenenza ad un Tutto del quale siamo una parte distinta e cosciente, ma senza il quale non possiamo esistere e del quale siamo tutti responsabili”. Questa distanza può rendere molto più difficile una situazione già impegnativa, portando, in molti casi a peggiorare lo stress, le persone potrebbero percepire uno stato di sopraffazione e colpa. Lo stress cronico influisce sul benessere mentale, fisico e sul lavoro anche dopo un miglioramento della situazione.
Un altro aspetto molto importante è il senso di impotenza che ci pervade: il non poter fare nulla diventa un nemico invisibile, imprevedibile, sfuggente e insidioso. Si è abbattuto sulle nostre vite imponendo una brusca frenata alle nostre abitudini e facendo crollare molte delle nostre certezze. Stiamo imparando a vivere alla giornata, seguendo ansiosamente l’andamento dei contagi, ma l’incertezza diffusa può far nascere una nuova consapevolezza di sé e un sano ritorno all’essenzialità. A condizione che non si trasformi in angoscia per il futuro.
Stiamo inoltre riscoprendo che la vita non è fatta solo di esteriorità; questo può aiutarci a ricalibrare la nostra esistenza riscoprendo la dimensione profonda dell’interiorità e dell’essenzialità, rivelazione, in fondo, di una unità più forte con il Tutto.
Di fronte all’evento inatteso ci si può rifugiare in una sorta di negazione, sottovalutando il problema e trascurando le norme di sicurezza per continuare la vita di prima mettendo a rischio se stessi e gli altri; c’è anche chi, al contrario, si fa prendere dall’angoscia cadendo vittima del panico e divenendo, a sua volta, propagatore di paure infondate anche attraverso le più inverosimili fake news. Oppure ci si può affidare totalmente alla razionalità scientifica: anche se ad oggi non esistono terapie specifiche, si crede che seguendo tutte le prescrizioni delle autorità sanitarie si otterrà un’elevata probabilità di non cadere vittima del coronavirus. Anche se non facile da perseguire, la via preferibile appare essere il riconoscimento e l’accettazione della propria fragilità “come parte costitutiva di sé”. Insomma, non rimuovere la paura né farsene travolgere, ma viverla in modo sano e costruttivo, perché non temere di avere paura costituisce un importante meccanismo di difesa. Questo passaggio è molto importante in questa fase, anche se difficile da perseguire, se questo non avviene, durante la quarantena, secondo degli studi quantitativi, le persone potevano presentare sintomi di disagio e sintomi psicologici generali, disturbo emotivo, depressione, fatica, umore debole, irritabilità, insonnia, sintomi di stress post-traumatico, (valutato su Weiss e Marmar’s Impact of Event Scale – Revised), rabbia, ed esaurimento emotivo.
Altri studi dimostrano che compare nelle persone una prima sintomatologia prevalente: umore basso, irritabilità, paura, nervosismo, tristezza e confusione; mentre a bassa prevalenza: sentimenti positivi, felicità e sollievo. In questi casi è consigliabile intervenire preventivamente alla comparsa di una prima sintomatologia, per non peggiorare lo stato psichico in condizioni di forte stress, contattando un operatore sanitario o un professionista specializzato tramite una consulenza online.
Un adeguato supporto dovrebbe tempestivamente rispondere soprattutto ai bisogni di chi si trova già in situazioni personali di difficoltà.
Un chiaro esempio ci viene fornito da tutto il personale sanitario, che in questo periodo è sottoposto ad una scarsità di ore di riposo e mancanza di supporto. Il giusto supporto garantirebbe la salute psicologica, oltre quella fisica, per chi già lavora in condizioni difficilissime soprattutto nelle aree più critiche, affrontando la perdita di pazienti, colleghi e familiari. L’assenza di sostegno adeguato potrebbe indurre un disturbo da stress acuto, esaurimento, distacco dagli altri, ansia quando al cospetto di pazienti febbrili, irritabilità, insonnia, scarsa concentrazione e indecisione, deterioramento delle prestazioni lavorative e riluttanza al lavoro o considerazione delle dimissioni, fino a casi limite di gesti suicidari per sfuggire a questa condizione di forte stress ingestibile. In ogni ospedale o clinica ci dovrebbe essere un’equipe di supporto per aiutare e alleggerire il carico emotivo, per non esaltare il sentimento di solitudine in questa situazione d’emergenza, ed offrire un aiuto e la possibilità di condivisione dell’esperienza che stanno vivendo.
In conclusione, l’impatto psicologico della quarantena è ampio, sostanziale e può durare a lungo.
Studi dimostrano che anche dopo la fine delle restrizioni, le persone potrebbero presentare comportamenti d’evitamento, cambiamenti comportamentali a lungo termine: come un ossessivo lavaggio delle mani ed elusione della folla e, per alcuni, le conseguenze di un ritorno alla normalità ritardato di molti mesi.
Non sarà facile riprendere la nostra quotidianità, il lavoro, un ripristino delle relazioni famigliari e amicali. Quest’esperienza ci ha cambiato la visione della realtà facendoci apprezzare le cose essenziali, aprendoci a nuove prospettive di vita.
Non siamo soli ad affrontare questa esperienza, è molto importante condividere le proprie paure o i sintomi derivati dallo stress con chi ci è più vicino e se le condizioni peggiorano è fortemente suggerito di contattare un professionista per un intervento mirato ed incisivo.
Dott.ssa Maria Elena Raschi